Beckett 100: Video Beckett
Installazioni, opere video, cortometraggi, animazioni e videoscenografie ispirate a Samuel Beckett
di Anna Maria Monteverdi

 



Samuel Beckett, Quad (1981), regia televisiva di Reinhart Müller-Freienfels.

Come hanno trattato o interpretato la materia e le visioni beckettiane artisti multimediali nelle loro installazioni, videoperformance e spettacoli tecnologici? E' opinione comune che sia la stessa poetica di Beckett, così radicalmente altra rispetto ad una scrittura drammaturgica tradizionale, oscillante e sospesa in un tempo a-dimensionale, tra condizione soggettiva e oggettiva, personale e impersonale, nella negazione della possibilità di un raccontare, nell'inutilità di ogni agire, ad aprirsi ad apporti creativi altri, offerti dalla specificità del mezzo video e filmico. Ersilia D'Alessandro ha parlato di “vocazione cinematografica” del teatro di Beckett.



Samuel Beckett, Non io (1977), regia televisiva di Anthony Page con Billie Whitelaw.

Pensiamo a Non io, monologo torrentizio dell'unico personaggio Bocca immerso secondo la volontà dell’autore, nel buio assoluto della scena; o alla sperimentazione minimalista di Quad (definito da Beckett stesso “una follia televisiva”), ideato come una coreografia di personaggi incappucciati irradianti da e verso il centro con una esattezza geometrica tale da ricordare per analogia il calcolo di un computer (e non a caso definito “performance algoritmica” dallo studioso di media David Saltz).
A Ghost Trio e ad Act without Words I si ispira lo spettacolo tecnologico It/I, una “pantomima per uomo e computer” ideato nel 1997 da Claudio Pinhanez quale parte di un progetto sviluppato al MIT di Boston (vedi scheda presente sul Digital Performance Archive on line ideato da Steve Dixon) mentre Play di Beckett è anche il titolo dello spettacolo con uso di immagini 3D e occhialetti polarizzati per gli spettatori, di Lance Gharavi (1996; vedi oltre), collaboratore dello scenografo digitale e regista Mark Reaney al Dipartimento di Realtà Virtuali dell’Università di Kansas.



Breath.

A Breath, sorta di grado zero della rappresentazione, testo-lampo della durata obbligata di 35 secondi, con luce intermittente e null’altro in scena se non cumuli di spazzatura, si ispira l’artista Nikos Navridis per l’omonima installazione video esposta alla 51a Biennale di Venezia.



Catastrophe.

Mamet e Kentridge guardano a Catastrophe (dedicato al drammaturgo ceco Vaclav Havel) per il loro omaggio video a Beckett. Il corto di Mamet con l’interpretazione di Harold Pinter (Director) e Rebecca Pidgeon (Director’s Assistant) e con l’ultima toccante apparizione di John Gielguld (Protagonist) fa parte del progetto Beckett on Film (2000) prodotto da RTE, Channel 4 e Irish Film Board, presentato al 57° Festival del Cinema di Venezia nella sezione Nuovi Territori.
Notizie su Beckett multimediale (ma non solo) all'interno del database aggiornatissimo di Federico Platania. Intanto sul fondamentale sito www.ubu.com la versione integrale di Film è scaricabile on line (179 mb).


Videoinstallazioni e videoperformance

1. Nel 1968 Bruce Nauman, esponente dell'area concettuale americana e tra i pionieri della videoarte statunitense insieme con Dan Graham e Peter Campus, crea Beckett Walk o Slow Angle Walk.





Si tratta di un'opera video-performativa che mostra il dispositivo video nella duplice funzione di processo e immagine spazializzata. In Beckett walk una telecamera fissa collegata a un monitor per ciascun lato di uno spazio architettonico quadrato che si sviluppa in altezza, riprende dall’alto la persona che ne percorre il perimetro. I suoi movimenti non sono naturali: Nauman realizza una sorta di happening o performance mediatica ripetitiva, a loop: il performer con le mani dietro la schiena alza una gamba a 45 gradi e la lascia poi ricadere a terra con grande rumore. Comportamenti bizzarri, rovesciamenti del corpo che vengono ritagliati nella scatola del monitor e che contrastano con quel geometrico percorso obbligato che regolamenta il suo tracciato nello spazio. Come ricorda Valentina Valentini: “Non è gratuito il riferimento a Beckett, che è stato un incontro importante per Nauman, perché in entrambi il linguaggio è un elemento che trova in se stesso il proprio fondamento, non sta al posto di..., non è uno strumento espressivo legato alla dimensione soggettiva e intersoggettiva di locutori e perlocutori” (V. Valentini, Corridoi, labirinti, soglie: come mettere in gioco lo spettatore, in Dal vivo, Roma, Graffiti , 1996)

2. Godot Space
Nel 1997 David Saltz, artista e teorico inglese specialista di Interactive Media e Mediated Theatre, realizza Beckett space un ambiente che include varie installazioni, alcune automatizzate, e performance con video ispirate a 8 pièce di Beckett.
All’interno anche uno spazio interattivo, Godot Space: attraversandolo si attivava una sezione audio dal più famoso testo di Beckett. (Vedi anche il testo di Saltz scritto appositamente per ateatro)

3. Le videoinstallazioni beckettiane di Natalia Antonioli
Giovane regista teatrale con un background di studi filosofici e di pratica artistica di tutto rispetto, la Antonioli ha percorso per un'occasione specifica nel 1999 (il Premio Autore Donna) l'itinerario beckettiano con una serie di installazioni video e sonore che risultarono vincitrici della sezione Nuove Proposte. L'autrice nel catalogo curato da Marina Corgnati, le definisce “microregie”, concertazioni installattive dalla durata minima, quasi istantanea, seguendo scrupolosamente le indicazioni beckettiane per i suoi dramaticules.



Passi.

Passi è realizzato come un tracciato di scritte bianche con correttore (frasi dal testo stesso di Beckett) su materiale plastico scuro posto a terra a formare gli otto numeri del gioco infantile della campana. Il gioco come è noto, non termina mai perché ricomincia sempre, e così è per la voce registrata associata all’installazione, un cadenzato ripetere delle parole beckettiane per bocca di bimba. Winnie ispirato a Giorni felici, è un’installazione video e sonora (voce di Alessandra Roselli) con due monitor sincronizzati e oggetti appartenenti alla protagonista della piéce. Tra le installazioni spicca senz’altro la resa video-letterale di Ohio Impromptu. Il tavolo con due sedie e due monitor propone un dialogo impossibile e infinito tra Ascoltatore e Lettore, tra Io e Non io: un interlocutore assente – simboleggiato dalla neve del televisore non sintonizzato - e un video-braccio che comanda ma dà regole non ascoltate. In tutte le installazioni i frammenti del testo originario sono sparsi in forma di sasso o cemento inciso (Giorni felici III), di carta ghiacciata (Quella volta), accartocciata, di ritagli di singole minuscole lettere ricomponibili a scelta da chiunque secondo il meccanismo della casualità. Il teatro è dietro un’unica immagine che condensa, “ghiaccia” quell’istante, “quella volta” e si concede ma per tracce fossili, all’archeologo-visitatore. Metronomi a battere il tempo per nessun strumento, voci inabissate che si disperdono dentro coni metallici, vetri che accolgono bocche afone, corpi smembrati dall’occhio della telecamera, dondoli dal movimento inarrestabile, giochi della morte e giochi dell’infanzia. I monitor isolati, gli oggetti casuali, le sequenze narrative monche sono lì a sostituire attori e trama e a testimoniare un’assenza imprecisata o un’attesa infinita. L’installazione è infatti, una scena provvisoriamente abbandonata, laddove una presenza umana si è dileguata e ha lasciato ombre elettroniche e guanti in lattice, borsetta, ombrellino e collana di perle. Nella dimensione irricostruibile e indecifrabile del luogo e della storia, nella negazione del tempo e contemporaneamente nella resa di “creature in fuga”, il senso di un Beckett messo per una volta in mostra e non in scena: “Mi piace Beckett. Mi piace il suo universo composto da monadi senza porta e senza finestra in cui il visitatore disincantato è costretto ad osservare la vita nei suoi aspetti più depauperati... aspettando il silenzio” (N.A.)



Quelle braccia alla fine.

La Antonioli ha recuperato alcune delle sue più significative installazioni come itinerario “preparatorio” all'interno dello spettacolo La voce nella testa (da Passi) andato in scena nel gennaio 2006 in un teatrino nel cuore della Lunigiana (Bagnone-Massa). Le installazioni sono: Quelle braccia alla fine (da Dondolo) con un piccolo dondolo automatizzato in movimento perpetuo, e Winnie (da Giorni felici).

Spettacoli tecnologici

1. Studio Azzurro, Neither.



Neither.

Spettacolo di teatro musicale con scenografie digitali messo in scena da Studio azzurro nel 2004. All’opera musicale per soprano e orchestra concepita da Morton Feldman nel 1976, Beckett aggiunse su commissione, il libretto. Feldman chiese infatti a Beckett per l’opera, la “quintessenza” della sua poetica, che fu prontamente consegnata in forma di un pugno di righe come una sorta di suprema astrazione o distillato del suo pensiero intorno al tema universale dello stare al mondo in una condizione sempre oscillante tra l'io e il non io. Studio Azzurro sceglie una dimensione evocativa quasi surreale, sorretta da pochi oggetti, che rimandano al mondo beckettiano: un dondolo, l'uccello in gabbia, un uomo nel letto, l'albero, le scale, una porta semiaperta che non è retta da alcun muro, una lama di luce in un palcoscenico vuoto, quel teatro secondo le stesse parole di Paolo Rosa, simbolo di nessun luogo e insieme crogiuolo di tutti i luoghi possibili.

2. Desktop theater.



Desktop_Theatre.

Waiting for Godot sbarca su Internet nel 1997.
Presentato al Digital Story Telling Festival. Waiting for Go.com è uno spettacolo di teatro on line con uso delle chat room e con personaggi interpretati da utenti collegati in quel momento; icone grafiche rappresentano non solo Didi e Gogo (Estragone e Vladimiro) ma anche altri personaggi improbabili come Mister Muscle, che si inseriscono ogni qual volta entra un nuovo utente; Waiting for Go.com ha un suo ambiente visivo offerto da palace.com che non sarebbe altro che il palcoscenico virtuale della rappresentazione. Il pubblico era costituito anche dagli spettatori reali del festival grazie a video-proiezioni. Rimandiamo al dettagliato resoconto on line Clicking for Godot in cui l’autore Scott Rosenberg esalta la nascita di un genere, il digital puppet theatre in un nuovo teatro on line, le cui modalità di (non) comunicazione rimanderebbero al tema dell’assenza in Beckett: “In Aspettando Godot nulla accade per due volte in ciascuno degli atti. Nelle chat rooms nulla accade la maggior parte delle volte, le persone si ritrovano ogni sera e aspettano per lo più che accada qualcosa, che qualcuno dica qualcosa di interessante, che un diversivo gli aiuti a passare il tempo”.

3. Roberto Paci Dalò/Giardini Pensili si è dedicato a Beckett in un paio di occasioni: la prima volta con l'installazione visiva e sonora Beck/ett realizzata a Castel Sant’Elmo per la grande mostra dedicata al Living Theatre e curata dalla Fondazione Morra, con la voce campionata di Julian Beck. L’installazione è stata riproposta due anni fa per Riccione TTV 2004, a Villa Lodi Fé. Più recentemente ha dato vita a uno spettacolo videopoetico (altrimenti definito dall’autore “esecuzione scenica”) di notevole valore a partire dall’ultima produzione poetica di Beckett e interpretato da Gabriele Frasca e Patrizia Valduga a loro volta poeti (e traduttori) molto noti nel panorama nazionale, in scena insieme a una giovane e talentuosa attrice francese, Caroline Michel. Qual è la parola si regge su atmosfere rarefatte, trasparenze, voci sussurrate o disperse, parole inanellate a suoni e immagini evocative, in una composizione fragilissima e intensa, sottoposta a un trattamento digitale in diretta. Proprio il digital live è quella modalità - più volte sperimentata da Giardini Pensili - che rende la tecnologia stessa significativo evento poetico in sé.


Progetti crossmediali

1. Jonas Hielscher dopo aver frequentato il corso di Design for Virtual Theatre and Games a Utrecht e terminato il Media Lab all’Università di Leiden in Olanda, fonda z25.org, un’ideale piattaforma informativa per giovani mediartisti. Esperto di installazioni motion tracking, creatore di videogames e appassionato di arte in rete collabora al progetto Quad Remediated (diventato in seguito 4:3) del giapponese Kaisu Koski ispirato a Quad di Samuel Beckett. Secondo le indicazioni tecniche forniteci da Jonas Hielscher e Koski, il progetto nasce con l’idea di offrire tre variazioni della stessa coreografia in tre diversi ambienti tecnologici (una danza all’interno di un quadrato secondo geometrie rigorosissime e con moti di attrazione e repulsione da e verso il centro).





Quad Remediated.

In questa ideale trilogia la prima parte è legata alla creazione di uno spazio narrativo in forma di installazione motion tracking, con sistema di captazione del movimento attivato dallo spettatore stesso nel suo muoversi all’interno dello spazio quadrato. La seconda parte del progetto consta di un’esplorazione del precedente spazio narrativo attraverso una danza, contemporanea a una sua riproposta in diretta video. Lo spettatore va a collocarsi, come postazione, in uno spazio intermedio tra la danza reale e quella video.
Da notare che questa danza è stata pensata per essere fruibile anche on line in video streaming. L’ultima parte è rappresentata dalla distruzione dello spazio narrativo visivo attraverso la creazione di un ambiente immerso nel buio e unicamente sonoro. Cambiano così le dinamiche di interazione, cambiano le interfacce, cambia anche la posizione dello spettatore in ciascuna delle diverse variazioni o step, di questo “mediated theatre” (secondo la stessa definizione degli autori).


Videoopere e cortometraggi

1. Un originale omaggio in video ispirato a Not I, monologo del 1972 di Beckett, è quello di Mald’è, giovane compagnia campana video/teatrale di Matilde de Feo e Mario Savinio. Presentato quest’anno alla manifestazione Il corpo immateriale di Napoli.



Il video di 11’ che segnaliamo per la pregnanza visiva, per l’aderenza alla poetica beckettiana e per l’ottima realizzazione tecnica, è una cascata ininterrotta di parole dallo strano personaggio di Bocca (“interpretato” dalla stessa De Feo, brava e bella attrice teatrale e televisiva). Bocca va a occupare un angolo di un ambiente elettronico caratterizzato da un biancore abbagliante e da cui emergono a tratti, segni grafici esplosi e frammentati, fonemi vomitati, risucchiati e poi sparsi ancora nel vuoto elettronico. Dalla bocca “reale” ma isolata dal contesto corporeo, si passa a quella digitale, una macchia rossa che mentre parla si sfalda, si sdoppia, si sovrappone in un’infinita metamorfosi elettronica. Riconoscibile sempre più a stento come un organo fisico scompare affogato nel bianco, quel bianco accecante che domina molta parte della produzione beckettiana.

2. Monument (3’, 1990) è il secondo cortometraggio politico della serie Soho Eckstein; si tratta di un’opera ispirata a Catastrophe a firma di William Kentridge, il più importante artista visivo sudafricano, regista, disegnatore, incisore, creatore di film animati usati come fondali teatrali e realizzati a partire da disegni a carboncino definiti da lui stesso “drawings for projection”.





La tecnica di animazione usata è quella tradizionale dello stop motion, ovvero una successione di immagini riprese cancellando o aggiungendo, fotogramma per fotogramma, elementi del disegno. In questa come in altre opere, la tematica affrontata è quella della storia postcoloniale del Sudafrica, degli orrori del capitalismo e dell’apartheid, complice la trama beckettiana della relazione di potere tra Director-Character-Assistent. Monument è stata esposta come installazione alla Tate Gallery; recentemente una personale su Kentridge è stata allestita a Modena e presso la Galleria Lia Rumma di Milano.

3. Atto senza parole I di Carlo Caprioli e regia di Enrico Maria Lamann è stato presentato a Film Maker di Milano e al Lodi Film Festival del 2005 diretto da Fabio Francione. Carlo, figlio di Vittorio Caprioli interpreta col video quell’invisibile potere che regge i fili, guida gli oggetti della sopravvivenza e quindi il destino dell’uomo nel deserto in cerca dell’acqua continuamente sottratta. E’ un’entità lontana che governa gli eventi muovendoli virtualmente da un non meglio precisato mondo parallelo fantascientifico, indossando data glove e virtual eyes. I limiti spaziali non oltrepassabili dall’uomo sono dati dal campo stesso dell’inquadratura. L’uomo è prigioniero dentro il video, dentro la scatola quadrata del monitor. Da lì il protagonista non può uscire, prigioniero senza scampo in un deserto bianchissimo e in uno schermo al plasma...


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Beckett 100: un carnevale modernista
Beckett tra teatro, video e installazioni
di David Saltz

 

Beckett Space: A Modernist Carnival, che ho diretto nel febbraio 1996 all’Università di New York, includeva performance tecnologiche e installazioni completamente automatizzate ispirate a otto brevi piéce di Samuel Beckett: Ohio Impromptu, Eh Joe, Not I, Rockaby, Play, Come and Go, Breath e Quad. Beckett Space conteneva anche un ambiente interattivo chiamato Beckett Space.



La motivazione di questa strategia non convenzionale di presentazione era quadruplice. Per prima cosa Beckett Space consentiva al pubblico di avere un dialogo più intimo con il testo, leggendo e rileggendo le opere in forma di performance, più di quanto avrebbero potuto fare in un’edizione stampata; inoltre, e tornando alle diverse opere, potevano esplorare le numerose interconnessioni che c’erano tra loro.
Secondo, Beckett Space metteva in luce la struttura ciclica della maggior parte di queste opere brevi. Nel corso di una performance di due ore e mezzo di Beckett Space, ripetevamo ciascuna delle opere tra le quattro (Not I) e le 35 volte volte (Come and Go). In alcuni casi il potenziale per ripetizioni infinite era già implicito nel testo di Beckett. Not I e Play, per esempio, finiscono esattamente come cominciano e Beckett stesso aveva stabilito che Play fosse ripetuto una volta.
Terzo, Beckett Space esplora l’interazione tra live performance e tecnologia implicita nelle opere di Beckett, specialmente da Krapp’s Last Tape in poi. La tensione tra live performance e immagini è stata molto forte soprattutto nella produzione di Not I.



Not I rivisitato da David Salz.

Un’immagine video della grandezza di 8 piedi di una bocca di donna veniva proiettata su un muro curvo in un piccolo spazio per 15 spettatori. La voce della donna amplificata veniva da un altoparlante posto sopra l’immagine. L’attrice che recitava dal vivo era nascosta, su una bassa pedana di fronte al proiettore. Il muro opposto alla proiezione conteneva un buco attraverso cui era possibile spiare: uno spettatore alla volta poteva guardare attraverso il buco per osservare la bocca vera e sentire la voce non amplificata dell’attrice che stava recitando dal vivo di fronte a una videocamera e a un microfono. La proiezione non funzionava come la registrazione di una performance realizzata in precedenza, e non solo come un artificio fine a sé stesso, ma come una prospettiva tecnologica su una azione live. Una visione attraverso un microscopio, una esternazione concreta del sé, un’incarnazione vivida di quello che Beckett descriveva come “veemente abdicazione verso la terza persona da parte di Bocca”.
Ultima motivazione, e per me più importante: volevo sottolineare che le produzioni tecnologiche di Beckett Space evidenziavano che il modo di lavorare dell’ultimo Beckett aveva trasformato radicalmente la relazione tra testo e performance, e così ridefiniva la nozione stessa di dramma (“play”).



Play rivisitato da David Salz.

Infatti si può osservare come la maggior parte delle ultime produzioni non siano affatto opere teatrali nel senso convenzionale. Sono algoritmi per performance. Significativamente, via via che le piéce di Beckett incrementano la loro precisione, aumentano anche le loro restrizioni. I vincoli delle direzioni di scena di Beckett, le descrizioni delle azione fisiche, le pause, le posizioni, sono spesso espressi con precisione matematica e, come in Quad, What Where, Come and Go, and Footfalls, sono accompagnati da diagrammi schematici che ne incrementano il rigore. Quad offre il più puro esempio di algoritmo performativo. Questa pièce non contiene dialogo, solo quattro “interpreti” che si muovono lungo il perimetro e le diagonali di un quadrato. Come un pezzo musicale e diversamente da un testo convenzionale, Beckett definisce costantemente un numero limitato di variabili dentro un intervallo di durata chiaramente definito, e mantiene un silenzio assoluto su tutti gli aspetti della performance non descritti da queste variabili.
Il vocabolario delle coppie di lettere sviluppato da Beckett per descrivere i “percorsi” dei personaggi non è semplicemente in grado di descrivere qualunque movimento che esca dai sei percorsi rettilinei, o qualunque pausa nell’esecuzione di un percorso. La precisione e i vincoli di Quad ricordano quelli di una partitura musicale; e dunque codificare l’algoritmo dei movimenti della pièce in un computer è un processo lineare. In Beckett Space abbiamo dimostrato la natura algoritmica dell’opera implementando l’algoritmo di Quad con diversi programmi di gestione ambienti e strumenti multimediali.



Per esempio, in una versione, un’animazione computerizzata creata con Macromedia Director raffigurava figure incappucciate che si muovevano su una griglia che ricorda quella di una scacchiera; in un’altra i personaggi erano rappresentati da semplici quadrati colorati. Quattro monitor di computer proiettavano simultaneamente quattro diverse animazioni di Quad; i monitor erano posti in un’alta colonna di tende al centro del Beckett Space. Gli spettatori entravano attraverso le tende e osservavano una serie di led luminosi sospesi sopra la loro testa. Un colore differente di luce rappresentava ciascun giocatore e i Led riproducevano i movimenti di Quad in sincrono con le animazioni sul monitor.
In altre opere teatrali come Play, Rockaby e Ohio Impromptu Beckett crea algoritmi che tengono conto di un elemento di mediazione umana. Queste opere costituiscono quelli che definisco “algoritmi interattivi”.
Questi testi sono scritti in maniera convenzionale, con battute di dialogo assegnate ai personaggi e trascritte in sequenza. Tuttavia la logica che li sottende è quella di un algoritmo costituito da due elementi principali: un testo e una regola. La regola governa il modo in cui viene detto il testo, e in ciascun caso il soggetto che emette il testo è diverso da quello che applica la regola. Per esempio in Rockaby la donna è seduta su una sedia a dondolo “controllata meccanicamente senza il suo intervento”. La battuta della donna, “Ancora”, funziona esattamente con un interruttore che mette in moto sia la voce sia il dondolio meccanico; di più, dal punto di vista tecnologico è molto semplice automatizzare il dondolio, il suono e le luci in modo che sia la voce dell’attore ad attivarli elettronicamente.
Il più sofisticato degli algoritmi performativi di Beckett è quello che presiede a Ohio Impromptu. In quest’opera un “Lettore” e un “Ascoltatore”, entrambi con lunga giacca nera e lunghi capelli bianchi, sono seduti uno di fronte all’altro a un tavolo, mentre il Lettore legge ad alta voce da un libro. Non appena l’Ascoltatore bussa sul tavolo, il Lettore interrompe la lettura, ritorna all’inizio della frase precedente, legge fino alla fine della frase e attende finché l’Ascoltatore non bussa una seconda volta prima di continuare. Per la produzione di Beckett Space ho cominciato girando un video del lettore che legge l’intero testo del libro, eliminando le ripetizoini del testo di Beckett, e poi ho trasferito il video su un disco laser. in modo da facilitare l’accesso causale in playback (all’epoca in cui ho realizzato Beckett Space, trasmettere un video di alta qualità e a schermo intero su un computer non era ancora così facile).
La scena consisteva di un lungo tavolo diviso da uno schermo sul quale in retroproiezione veniva proiettata un’immagine a grandezza naturale del Lettore, creando l’illusione che il Lettore fosse seduto all’estremità destra del tavolo (per gli spettatori), così come indicato nel testo di Beckett; tuttavia solo l’Ascoltatore era reale. Sul tavolo era posizionato un interruttore a pressione in grado di cogliere i colpi dell’Ascoltatore e collegato a un computer programmato per iniziare, arrestare e riavvolgere il videodisco, in base all’algoritmo di Beckett. Quando l’Ascoltatore batteva sul tavolo nei momenti giusti (cosa che l’attore aveva imparato a fare), quella messinscena semi-automatizata seguiva il testo e le didascalie di Beckett alla lettera; in particolare soddisfaceva in una maniera fino a quel momento inedita una delle sue richieste: che Ascoltatore e Lettore siano “simili il più possibile d’aspetto”. Grazie a questo legame cibernetico, Lettore e Ascoltatore finivano per “diventare una cosa sola” agli occhi del pubblico.
La produzione portava in scena una riunificazione romantica del sé frammentato, ma solo attraverso l’assorbimento del sé nel sistema cibernetico dell’opera. Il processo portato in scena era allo stesso tempo utopico e distopico. Di qui è nata la sua peculiare combinazione: una bellezza inquietante e una tenerezza segnata dal dolore del vuoto e della perdita.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Beckett 100: Beckett a I-Mode Visions 2006
All'Accademia di Belle Arti di Macerata
di Anna Maria Monteverdi

 



Cambio di testimone per le celebrazioni del centenario di Beckett, passato dal Teatro Studio di Scandicci all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Massimo Puliani, direttore della sezione Multimediale, ha coordinato infatti, dall’11 al 13 maggio, un ben articolato e ricco programma di eventi in omaggio al drammaturgo e regista irlandese che va a colmare un colpevole silenzio commemorativo ad opera di Teatri Stabili e Festival. L’occasione era data dalla pubblicazione del volume collettivo curato da Puliani stesso in collaborazione con Alessandro Forlani, della monografia Beckett per la Halley Editrice e dall’annuale esposizione dell’Accademia di Macerata I-Mode visions. Il libro, dalla grafica accattivante nera e blue elettrico, raccoglie testi sia inediti e che editi ma ormai introvabili, relativi al Beckett “multimediale”, ovvero a quella produzione televisiva e di radiodrammi caratterizzata da vere e proprie operazioni di rottura e di radicale innovazione linguistica e considerate a buona ragione da molti artisti soprattutto video, un riferimento obbligato.
Il programma prevedeva proiezioni di rare videodocumentazioni delle più svariate interpretazioni delle piéce beckettiane ad opera di nomi di spicco della ricerca teatrale mondiale oltre ai videplays diretti dallo stesso Beckett per la televisione (da Ehi Joe all’enigmatico Quad, a Ghost trio). Parte integrante di I-mode Visions era il concorso di corti (in video e in animazione) creati dagli studenti dell’Accademia e liberamente ispirati a Beckett; a conclusione delle giornate al Teatro Lauro Rossi di Macerata sono andati in scena: Endgame.End di Fabrizio Bartolucci e Trittico beckettiano diretto da Giancarlo Cauteruccio (Atto senza Parole, Non Io, L’ultimo Nastro di Krapp).

Omaggio a Beckett anche da parte di un docente dell’Accademia e assai noto comunicatore multimediale, Carlo Infante, che ha offerto una performance on line realizzata usando la piattaforma Mondi virtuali.com e invitando presenti e utenti a distanza, a un viaggio virtuale in grafica animata 3D e in chat dentro le opere, o meglio dentro i punti di vista sull’opera di Beckett. Il tour prevedeva soste dentro contributi in forma di clip video incastonati negli ambienti virtuali creati dagli stessi studenti del suo corso, Performing media. Una sorta di dimora virtuale o se vogliamo un palcoscenico da attivare grazie a banche dati spazializzate: un esempio di un diverso e futuribile modo di fare didattica, con temi organizzabili per aree interattive e intercomunicanti in modalità, per definizione, aperta. Naturalmente si tratta di una piattaforma condivisa in connessione remota la cui strutturazione architettonica e le cui modalità interattive devono essere ridefinite e riprogettate ogni volta affinché sia sempre il contenuto –come ricordava Kandinskij - a determinare la forma.
Il concorso I modi della visione ha visto poi, la partecipazione di 14 opere video di studenti dal 1 al 4 anno dell’Accademia. Sono risultati vincitori: Ceci n’est pas theatre di Armando Tesei, un folle non-racconto con citazioni esplicite alla cinematografia comico-grottesca italiana (da Ciprì e Maresco a Trosi a Fellini) con un ritratto di Estragone e Vladimiro tra L’albero degli zoccoli di Olmi e Cinico Tivù. Più aderente alla poetica di Beckett e al suo senso di sospensione e di inutilità o ineffabilità della vita e di ogni agire, nell’opera in grafica 3D animata premiata per la ricerca e l’innovazione: Senza titolo di Marco Menco: scarpe senza gamba vagano in un eterno circolo senza inizio né fine.